Il burkini è un diritto: negarlo è offendere la libertà d’espressione

Esistono diritti inalienabili. Primo fra tutti quello della libertà, come di voto o di stampa. Fondamentale però è la libertà d’esprimere ciò che si ritiene più giusto. Tra queste c’è la libertà di fede. In un contesto internazionale dove la paura dell’altro è sempre più forte e dove le forze dell’ultra-destra cavalcano l’onda della paura, è facile perdersi nell’atroce dilemma di cosa è giusto e cosa non lo è.

Negli ultimi giorni si è parlato molto della libertà delle donne mussulmane di indossare il ‘burkini’, cioè un indumento da spiaggia che permetta alle donne di farsi il bagno al mare o in piscina, senza mancare di rispetto ai valori della loro religione. La Francia è arrivata a vietarli per ‘motivi di sicurezza nazionale’ e l’Italia non sa ancora come muoversi a riguardo.

Molte voci si sono schierate a favore della scelta francese. Il Movimento Uils non è d’accordo invece. Quello che le donne di questa religione stanno vivendo con questo indumento è quasi una forma di emancipazione. Quella della sicurezza è una scusa: l’indumento prevede che si coprano i capelli, ma non il viso. Dove sarebbe il pericolo? L’indumento, per di più, è quasi aderente e quindi non permetterebbe che possano essere nascosti oggetti pericolosi o, peggio, ordigni di alcun tipo.

La nostra Costituzione parla chiaro: gli articoli 2 e 3 garantiscono i diritti inviolabili e la pari dignità sociale. La libertà di vivere secondo i propri principi è fuori discussione. Il discorso potrebbe farsi qualora il velo nasconda il viso: il sospetto purtroppo, in quel caso, nasce quasi spontaneo. Non riguarda però questo caso! Chi combatte questa abitudine non è socialista, poiché, come affermava Sandro Pertini, “socialismo vuol dire esaltazione della dignità dell’uomo; e quindi il socialismo non può andare disgiunto dalla libertà”.

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