Rimembranze del 1° maggio

È il 1° maggio 1867, quando la prima legge delle otto ore lavorative giornaliere entra in vigore in Illinois. Prima tra le conquiste dei lavoratori, nel giro di vent’anni la legge si diffonde in tutti gli Stati Uniti, per poi approdare in Europa, quando il Congresso Internazionale di Parigi del 1889 dichiara il 1° maggio come Festa Internazionale dei Lavoratori.

Così comincia una delle ricorrenze più importanti e condivise del XX° secolo, una festa che commemora le conquiste e le lotte sociali per rendere il lavoro davvero umano e non mero sfruttamento. Al centro del 1° maggio, difatti, non c’è un vano celebrare un giorno di vacanza, bensì il rammentare ogni singolo istante che il lavoro è lo strumento attraverso cui l’essere umano può sentirsi realizzato, responsabile e può contribuire al benessere collettivo. Sia questo di fatica, teorico, o artistico, il lavoro dovrebbe essere l’espressione della pari dignità tra i cittadini.

Proprio in virtù di questa sua natura di realizzazione della dignità sociale, il lavoro dovrebbe essere vissuto da imprenditori, lavoratori e Stato come l’opportunità di sviluppo personale e collettivo.

Oggi, di fronte al precariato che affligge una grande parte della popolazione e davanti alla speculazione attiva di imprenditori e affaristi senza scrupoli, riteniamo quanto mai necessario recuperare l’antico spirito del 1° maggio e realizzare una vera riforma dei diritti dei lavoratori.

Un 1° maggio per recuperare la dignità

In questo momento, siamo stati messi di fronte a una situazione in cui il capitalismo ha mostrato le sue pecche. E se c’è il tempo per ogni cosa, il 1° maggio è il tempo di rivedere la società e rielaborarla alla luce della comunità e della restituzione della dignità sociale attraverso un nuovo modo di vivere il lavoro. Non più schiavi delle dinamiche del profitto, bensì collaboratori al benessere collettivo attraverso un contributo minimo. Basterebbe un’ora in più di lavoro al giorno, il cui guadagno andrebbe allo Stato in modo da creare un fondo per le situazioni d’emergenza, per incentivare lo sviluppo. Questo contributo di tempo ed economico, consentirebbe di creare dinamiche lavorative migliori, di provvedere non a sussidi, ma veri e propri stipendi concessi statalmente e rimborsati, poi, dal datore di lavoro in seguito al guadagno – e non prima di esso.

Ciò porterebbe a una circolazione collettiva del denaro, a un interesse generale da parte dell’imprenditore nel registrare i dipendenti (così da attenuare, se non eliminare, il fenomeno dello sfruttamento del lavoro in nero), e a un aumento dei salari minimi (acquisendo la percentuale di un’ora di lavoro al giorno da ogni lavoratore, lo Stato stesso si porrebbe garante di una retribuzione più alta per avere un maggiore introito).

In questo 1° maggio, parliamo della necessità di una serie di riforme umanistiche, che riportino al centro del lavoro l’unicità dell’uomo e dei suoi bisogni. Il concetto stesso di lavoro deve riacquistare la sua dignità umana e sociale, finalizzata alla realizzazione di una società migliore e senza disuguaglianze.

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